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La Sarajevo che ho Scelto




“Ciao, parli inglese?” A chiedermelo è una ragazza seduta su uno dei gradini del cortile della Moschea di Gazi Husrev-beg. È l'inizio della mia visita a Sarajevo e, in ogni caso, l'inizio di questa storia. Anche perché cominciare con una ragazza è sempre un ottimo punto di partenza.

Mi aveva visto un po' spaesato, mentre cercavo l'ingresso alla moschea. Con mia moglie intenta a scattare le foto un po' più in là. Con lei avevo parlato a distanza in italiano e forse per questo mi è stato chiesto se, per caso, parlassi anche l'inglese.

“Sì, parlo inglese.”

Sarajevo - Moschea di Gazi Husrev-beg

La ragazza anche parla un buon inglese. Ed inizia a darmi consigli su quando visitare la moschea, ma anche sulle altre attrazioni della città. Non è il suo mestiere: lo si nota dall'approssimazione con cui mi fornisce indicazioni ed informazioni. E per questo lo apprezzo ancora di più. È semplicemente una ragazza del posto, desiderosa di essere d'aiuto ad un turista, condividendo un po' della sua conoscenza della città. Probabilmente farei io lo stesso a Roma e sarei altrettanto approssimativo. Ma parimenti solerte nel tentare di migliorare la visita ad uno o più viaggiatori.

“Quanto starete a Sarajevo?”
“Eh, purtroppo abbiamo solo oggi per visitarla.”
“Ma un giorno non è abbastanza!” mi contesta lei
“Lo so, me ne rendo conto. Ma non posso fare altrimenti. Sarò costretto a fare delle scelte...”

Sarajevo - Vijećnica

Non è certo la prima volta che mi capita di dover visitare un luogo in un tempo limitato, di conseguenza non è la prima volta che mi si pone il problema di dover effettuare una selezione dei punti di interesse. Ma è invece la prima volta in cui individuo una separazione abbastanza nitida sulla tipologia di percorso da effettuare. Sarajevo ha due anime, due modi di conoscerla. E naturalmente anche un'infinita commistione e combinazione degli stessi. Ma gli ingredienti principali rimangono quei due: la Sarajevo culturale e, purtroppo, la Sarajevo della memoria, quella martoriata dalla guerra. Se vogliamo semplificare, possiamo dire che ci sono due direttrici principale per visitare Sarajevo.

Il percorso che onora la vita e quello che onora la morte...

La ragazza ci saluta. E io rimango lì a rifletterci, nel cortile della Moschea. Istintivamente, ma anche per comodità, iniziamo la visita della città proprio da questa. Tutto ha il ritmo della quotidianità. I turisti nella prima mattinata non sono molti. Pertanto sono un osservatore estraneo, ma non troppo invadente. Mi guardo intorno, provo ad immergermi nelle cadenze forse ancora sonnolente di quella giornata. C'è una certa serenità nell'aria, una certa pacifica inerzia.

Prima che a qualcuno sorga il dubbio, provo a fugarlo subito: qui la pandemia sembra non esserci mai stata. La vita scorre apparentemente con gli stessi ritmi ed abitudini che tutti noi avevamo fino a tre anni fa. E questo conta, conta enormemente. Ma ci metterò un po' a capirlo...

Usciamo dalla moschea e ci avventuriamo in quello che è il centro culturale della città: la Baščaršija. Turistica quanto volete, ma estremamente attrattiva. Densa, carica di fascino, di sole e di suggestioni visive. Più un'altra facile malia: la ritualità del caffè bosniaco.

Sarajevo - Graffiti

Ma è troppo presto per quello: “Saliamo fino al Bastione Giallo e ce lo prendiamo una volta scesi?”
“Ok.”

Facciamo proprio così. Tra l'altro, la salita al Bastione Giallo costeggia uno dei cimiteri che ospitano molte delle persone cadute durante il terribile conflitto degli anni '90. Le due anime sono appunto (e purtroppo) inscindibili. Ciò mi aiuta, se vogliamo, a rimandare la mia scelta.

Ma poco dopo mi ritrovo seduto in una caffetteria, come avevo pianificato. Ho una mappa della città in mano e attendo che mi venga servito il mio primo caffè bosniaco. Il ragazzo che ce lo porta parla un ottimo inglese e non si limita a porgercelo. Ci fornisce anche spiegazioni su come consumarlo (o almeno provare a farlo) secondo tradizione.

Caffè bosniaco

Il caffè va prima girato in un certo modo. Questa fase la espleterà direttamente il ragazzo per noi, probabilmente per farci evitare di pasticciare e rovinarci così l'esperienza. Ci spiega anche che il caffè solitamente non è zuccherato, ma è per questo che accanto viene portata un'altra bevanda leggermente dolce. Non sono riuscito ad afferrarne il nome, ma non credo sia importante. In molte altre caffetterie quest'altra bevanda è semplicemente acqua, che volendo può essere dolcificata con delle zollette di zucchero. Ma nella mia variante era già dolcificata. E, sì, avevo pure le zollette. Tuttavia la ritualità rimane più o meno la stessa: un sorso dolce, un sorso amaro.

Vi suggerisce qualcosa?

Rimango quasi accecato. Si tratta chiaramente di una coincidenza, ma tutto sembra convergere. Il dolce e l'amaro, la vita e la morte. Tutto torna, tutto coesiste.

Ma oggi non posso permettermelo, oggi sono costretto ad una scelta. Posso sorseggiare Sarajevo come voglio, ma non potrò mai bermela tutta. Non in un solo giorno.

Sarajevo - Sinagoga Aschenazita

Paghiamo e usciamo dalla caffetteria. “Facciamo il lungofiume e vediamo cosa riusciamo a fare.” Dopo un po' di tempo arriviamo in una sinagoga. Che stava per chiudere. Ma una ragazza (ancora) mi dice: “Va bene, per qualche minuto potete entrare. Vi do io qualche spiegazione.” Ci porta al piano superiore, che è la parte che ha ancora funzione di sinagoga e ci racconta un po' lo storia della stessa. Anche del fatto che i fondatori di quella sinagoga hanno origini nordafricane e sono giunti in Bosnia dopo varie generazioni, passando per Venezia. Lei stessa dice di essere una loro discendente, anche attraverso i secoli. È gentile, simpatica. Ma soprattutto è sorridente. Dopo oltre due anni, posso di nuovo apprezzare il sorriso delle persone. E con la prossemica di sempre, quella a cui sono abituato. Quella per cui davanti a me celebro la vita, la vicinanza con un altro essere umano. Non un potenziale nemico. È il trionfo della vita!

E per me allora la direzione è chiara e la scelta è conseguente. “Oggi voglio la Sarajevo dei vivi.” Dopo due anni di morbi, guerre, rincari, allarmi e profezie di sciagure non potevo optare altrimenti.

Gatto a Sarajevo

Una cosa non vi ho detto: il caffè bosniaco, di solito si conclude con l'assaporare un lokum, che è dolce. Come credo sia giusto, l'ago pende sempre a favore della vita. Gusto il mio soffice dolcetto e mi tuffo nella viva Sarajevo.

Alla morte penserò una volta morto.

Sarajevo - Graffiti con scheletri



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