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Cresciuto sugli Asterischi




Questo è un articolo della serie #20Again: in questi testi non intendo consigliare a nessuno di mettersi in viaggio, né voglio convincere le persone a stare a casa. Molto banalmente e in generale, racconterò le mie esperienze e condividerò i miei pensieri, senza la presunzione di voler indirizzare quelli di altre persone. Sono fermamente convinto che ognuno possa decidere per sé stesso, attraverso i propri parametri di valutazione. Inoltre, durante i miei viaggi, ho rispettato sempre tutte le restrizioni e le regole locali, su cui ho costantemente provato a informarmi preventivamente.

Da:
Doris Lessing - The Golden Notebook: Preface
Harper Perennial, HarperCollinsPublishers, 2007, ISBN-13: 9780007247202

“Ideally, what should be said to every child, repeatedly, throughout his or her school life is something like this: 'You are in the process of being indoctrinated. We have not yet evolved a system of education that is not a system of indoctrination. We are sorry, but it is the best we can do. What you are being taught here is an amalgam of current prejudice and the choices of this particular culture. The slightest look at history will show how impermanent these must be. You are being taught by people who have been able to accommodate themselves to a regime of thought laid down by their predecessors. It is a self-perpetuating system. Those of you who are more robust and individual than others will be encouraged to leave and find ways of educating yourself — educating your own judgements. Those that stay must remember, always, and all the time, that they are being moulded and patterned to fit into the narrow and particular needs of this particular society.”

Doris Lessing, nella prefazione di in un'edizione in lingua inglese del romanzo “Il taccuino d'oro”, evidenziava con le frasi citate come tutti i sistemi educativi siano in fondo sistemi di indottrinamento peculiari della cultura del tempo e della specifica società. E come gli individui più indipendenti dovrebbero essere incoraggiati a trovare da soli modi di istruirsi, anche discostandosi dal pensiero che viene inevitabilmente tramandato (per quanto piuttosto labile nel tempo). Ma soprattutto suggeriva di renderne consapevoli i discenti, scusandosi di non poter proporre un sistema migliore.

Quando mi sono messo in viaggio a Luglio 2020, l'ho fatto anche per vedere se le varie città d'Europa fossero tornate a nuova vita dopo i duri mesi precedenti. Mi aspettavo saracinesche abbassate, segno di gente sconfitta dal lockdown, che aveva gettato la spugna. Tuttavia, non avevo pensato al fatto che un turista solitamente di rado si allontana dalle aree centrali dei diversi posti. E queste, da quanto mi è sembrato, bene o male hanno retto, magari arrangiandosi. Ma non solo...

Colazione a Trieste
Colazione a Trieste

Arrivo la prima mattina a Trieste, città famosa per i caffè e i tanti modi di prepararlo. Coi nomi diversi a cui è abituato un romano, ma alla fine ci si capisce. È sabato mattina, un giorno in cui molti riposano, anche quelli che per loro fortuna un lavoro l'hanno mantenuto. Sono solo le nove, se non ricordo male, ma noto già una prima vivacità. La gente esce, si tuffa nel centro, inizia ad occupare le sedie dei vari caffè e fa colazione all'aperto. Noi, dopo una nottata passata in autobus, decidiamo di fare lo stesso.

C'è una certa lentezza nei nostri gesti, c'è una palpabile catalogare dei singoli istanti. Dopo mesi, io e mia moglie ci concediamo uno spicchio di normalità.

Se non fosse perché i camerieri indossano le mascherine, sembrerebbe quasi che non sia successo nulla. Il sole è sorto ad est, come ogni giorno. Il mare poco distante continua ad arrotolarsi su sé stesso. E il tempo ci passa accanto guardando dritto, come una bella donna che lascia rimbalzare su di sé tutti gli sguardi. In che anno siamo? Ne ho perso contezza.

Lubiana: lungofiume
Lubiana: lungofiume

A Lubiana, stessa storia. Qui sul lungofiume i minuti si scaldano, rintoccano facendo eco ai boccali di birra che si alzano e tornano poi a picchiettare i tavoli. È il suono dell'estate, è l'afflato comune di tante anime che vogliono soltanto dimenticare. Atmosfera che ritroverò poi molto simile a Innsbruck, qualche giorno dopo.

Innsbruck: centro
Innsbruck: centro

Anche il Lussemburgo, seppur più compassato e guardingo, con un cielo un po' burbero e minaccioso, mi accoglie nei suoi pomeriggi ricreativi. Vedo uomini in giacca e cravatta che finalmente possono scappare da quella maledetta riunione e unirsi ai ragazzi che li hanno preceduti nei bar all'aperto.

Non me l'aspettavo, ma non mi è dispiaciuto.

Lussemburgo: decorazioni
Lussemburgo: decorazioni

Come se nulla fosse accaduto, come se chiunque avesse dimenticato. Una convinzione? Una recita per mandare avanti lo spettacolo? Ma a Berlino e a Potsdam ho poi trovato ciò che cercavo: quei segni che in realtà non avrei voluto mai trovare. Le ferite, che i tedeschi hanno avuto il coraggio di mostrarmi.

Si comincia da un caffè. Mi avvicino e leggo questa scritta su uno dei tavoli:

Messaggio - Scritta #1

“We're OPEN – Again”

Ognuno ci può leggere ciò che vuole. C'è chi ci vedrà un ovvio annuncio, chi si sentirà in risonanza con il gestore e lo staff che hanno ripreso a lavorare. Ma io in quell' “Again” ci ho innanzi tutto percepito una pungente nota di tristezza. Il mio caffè l'ho bevuto, non ricordo se proprio lì. L'ho riempito di zucchero, ma è rimasto comunque amaro. E non perché non fosse di qualità. Poi sono andato avanti.

Arrivo a Potsdam e mi trovo quest'altra scritta: “Support your local coffee roaster.” Un altro appello, una chiara richiesta d'aiuto. Magari era lì già da prima, non lo saprò mai. Ma il colpo lo sento, mi arriva. E sono tra i più colpevoli, avendo viaggiato in modo per nulla “local”.

Messaggio - Scritta #2

Ma la mazzata conclusiva è questa. “We will be back.” A parlare è un cinema, ancora chiuso. Dove venivano presentati messaggi per suscitare interesse, inviti ad entrare a dimenticarsi della quotidianità per qualche ora, rimaneva soltanto una necessaria affermazione di speranza.

Mi sono quasi messo a piangere. Sì, c'era empatia, ma non solo quella. Ho ripensato ai mesi passati, a tutto ciò che era accaduto. Non giudico se sia stato giusto o sbagliato, ma posso affermare che sicuramente è stato scioccante.

Messaggio - Scritta #3

Quel bambino, no, non poteva capirlo.

Insegnante: “Ragazzi, oggi parliamo dei diritti fondamentali dell'essere umano. Che in un paese democratico come il nostro sono... Questi diritti sono inalienabili, che significa che non possono essere sottratti... Stray, che c'è? Hai alzato la mano? Dimmi.”
Piccolo Stray: “Professoressa, sul libro manca l'asterisco!”
Insegnante: “Che asterisco, Stray?! Di cosa parli?”
Piccolo Stray: “L'asterisco vicino ad inalienabile. Non ce l'hanno messo!”
Insegnante: “Non ci va l'asterisco, perché appunto significa irrinunciabile. Non può andarci nessun richiamo, perché non c'è niente da aggiungere.”

Grazie per la spiegazione, professoressa. Ma sbagliavi. Nel 2020 l'ho capito. Mi sono nascosto e ho frugato dentro la mia anima, lì nel buio forzato ci ho trovato tutti gli asterischi dimenticati, nascosti sotto al materasso. Ci ho dormito sopra e ci sono cresciuto. Oggi sono schizzati via tutti insieme. Se me l'avessero detto, se solo me l'avessero detto...

Che gli incidenti capitano, l'ho sempre saputo. Che la natura facesse a volte dei brutti scherzi, anche a questo ero preparato. Ma mai avrei pensato che sarebbero stati altri uomini a distruggere l'idea di mondo su cui essi stessi mi avevano indottrinato, seppellendo superficialmente tutti gli asterischi, tutti i richiami che esplicitassero le condizioni di inapplicabilità di ciò che avevano promesso. Una promessa rotta inevitabilmente, forse anche correttamente, ma che ha comunque palesato una bugia ben raccontata.

Nel post precedente (il link qui) ho raccontato di come mi sia sentito catapultato all'interno di un anime giapponese, in cui rimanevo ad osservare un gruppo di eroi che cercano di salvare tutti, nessuno escluso. Oggi ho capito che, nonostante gli sforzi, non si sia riusciti nell'impresa. Ma non poteva andare diversamente. In fondo siamo delle barche che provano a sfruttare i venti, ma che non possono reggere più di tanto i turbini della vita troppo impetuosi. I turbini non sono buoni o cattivi, sono soltanto turbini.

Berlino: East Side Gallery
Berlino: East Side Gallery

Davanti a quel cinema e a tutte quelle scritte mi è parso evidente che ci sono tanti tipi di morte. Non solo quella del corpo. C'è la morte dei progetti di vita, delle aspettative, degli sforzi per rincorrere il benessere. C'è la rottura delle relazioni. Quando la coperta è troppo corta - e in questo mondo copre a mala pena le parti intime – si è sempre costretti a delle dure scelte, che sempre lasciano estinguere qualcosa.

I turbini non sono buoni o cattivi, sono soltanto turbini.

A breve, se non ci saranno ulteriori restrizioni o cancellazioni, ripartirò. Qualche amico mi reputa coraggioso, dato il perdurare della pandemia in corso. Qualcun altro, più o meno velatamente, mi considera uno sconsiderato, lo so. Ma anch'io sono costretto ad una scelta: il senso di sicurezza o i miei stimoli interiori. Non posso salvare entrambi.

E poi c'è uno che me l'ha chiesto esplicitamente: “Come fai a metterti in viaggio?” La risposta è stata semplice, quasi ovvia: “Perché non ho paura.” Ma so benissimo che questa domanda ne nascondeva una successiva, che l'altro però ha trattenuto: “Ma come fai a non avere paura?”

Non rivelerò la risposta. Chiunque la intuisse conquisterà il mio tacito applauso.



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