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Dalla Terrazza




E alla fine mi ci hanno messo sulla terrazza.

Non che non sia stato a mio agio: in fondo sono sempre stato uno scrittore da terrazza. Sì, lo so che classicamente si parla di Torre d'Avorio. Solo che io non sono così di classe. E soprattutto gli elefanti non mi hanno fatto nulla di male per voler ricavare un intero edificio dalle loro zanne. Il principio metaforico però rimane, anche se con una piccola variante: dalla terrazza la gente ti vede, non funziona poi tanto bene come tana.

Questo mondo invoca sempre di più la partecipazione degli scrittori ai contesti sociali, a chi scrive chiede di dare voce alle masse, di far leva sulla forza delle parole. Io mi sono tirato indietro da sempre. Lo ammetto. La mia scrittura racconta gli individui, nella loro visione fallibile e parziale. Le mie storie sono tutte incastonate nella convinzione che l'esistenza di ciascuno di noi si srotoli prevalentemente al nostro interno.

Veduta da Sintra - Castelo dos Mouros

Per questo mi trovo alla grande sulla mia terrazza. Ogni tanto, però, ho bisogno di uscire. E allora mi nascondo dentro ad un bus affollato, cerco di palpare con le orecchie l'umore della strada. Perché no? Mi cibo anche dei discorsi ricorrenti negli uffici o di quelli inerziali delle rare occasioni sociali a cui mi trovo costretto a partecipare. Non si butta mai nulla delle conversazioni, nemmeno gli scarti. E allora lì a rovistare, visto mai che ci trovi un pezzo di ispirazione ancora in buono stato?

Sì, sono proprio quello più insospettabile: il tizio seduto sul sedile dietro al tuo che sembra non aver nulla da dire. E magari è proprio così. Ma non preoccupartene troppo, quel tizio è sempre stato troppo preso nel percepire sé stesso. Di te tratterrà solo ciò che gli è più funzionale, ci scommetterei. Non ti ruberà l'anima, perché poi non saprebbe a chi rivenderla. Anzi, te ne regalerebbe volentieri un pezzo della sua, che dentro di lui ingombra un po' troppo.

Lo penso da tempo, lo scrivevo già una decina d'anni fa, all'interno di uno dei miei romanzi:

Ed è proprio questa la differenza tra me e chi sempre mi è stato intorno: gli altri vivono mentre io mi osservo vivere. Uno che vive prova in maniera veritiera buona parte della gamma delle sensazioni umane. Io, invece, ho sempre passato molto del mio tempo a fare di me stesso una cavia da studiare. Heisenberg affermava che non è possibile conoscere simultaneamente la posizione e la quantità di moto di una particella con assoluta precisione. Questa asserzione è conosciuta come principio di indeterminazione. Così, in modo equivalente, non è possibile vivere e allo stesso tempo analizzare la propria vita, come se ne fossimo estranei: perché quando stiamo a studiarci, nell’atto di spiare noi stessi, inevitabilmente modifichiamo il nostro comportamento, la nostra spontaneità, (in breve) la vita stessa, che rendiamo non più autentica. Se invece ci limitiamo a vivere, non avremo mai modo di avere una corretta interpretazione di noi stessi.

Forse è per questo che io della mia terrazza ho bisogno. Da lì posso guardare, ma senza interagire. I tempi si dilatano, i miei pensieri possono indugiare lentamente, trascinarsi per minuti, perché in fondo non mi è richiesta partecipazione. Anche a costo di perdermi qualcosa.

Spoleto - Ponte delle Torri

Poi, un giorno, sulla terrazza mi ci hanno lasciato per legge.

Proprio fisicamente, intendo. Niente più autobus, niente cestino delle conversazioni in cui frugare. Solo io e i miei pensieri. Tutto poteva accadere solo nella mia testa. Anche ciò che vedevo, doveva poi essere elaborato dentro di me, senza alcuna conferma esterna.

La primavera è arrivata ed è proprio grazie a quella terrazza che me ne sono accorto. Le giornate hanno iniziato a scaldarsi, a invitare a uscire. Ma non si poteva. Fuori il più delle volte non c'era nessuno. Erano tutti sulle loro rispettive terrazze oppure del tutto rinchiusi all'interno di mura solidissime. Alcuni tranquillizzati, altri insofferenti. Diciamola tutta: già il fatto che avessi a disposizione la mia terrazza è stato un privilegio e una gran fortuna.

E ora esco dalla metafora, che francamente ha pure un po' stancato. Giusto?

Come la vita, che ai più si presenta dolce nei primi anni, così io mi alzo sereno e mi affaccio di mattina. Qualcosa è cambiato, ma non molto: c'è una sensazione strana nell'aria, la gente non parla, rimane a distanza. Ma è lì, in attesa. Un po' come me, che cerco di decifrare questa nuova realtà. Vivo in un posto che non può chiudere del tutto. Vicino casa ho i servizi essenziali. E i fruitori di servizi essenziali forniscono a me il servizio più essenziale che ci sia: mi certificano che una vita all'infuori di me esiste. A meno che tutto ciò non sia una mia costruzione. Ma non sono mai stato un grande fan del solipsismo.

“Rimanete là, non ve ne andate. Vi prego.” Sto per assaggiare questo nuovo piatto dell'esistenza e vorrei che il boccone non sia tanto amaro. Ma tutti fanno ciò che devono, poi vanno via. Si sostituiscono continuamente.

Fiori di Sakura

Tranne il vecchietto lì in fondo. Lui è lì, che cammina nel parcheggio. Da solo, al massimo saluta qualcuno da lontano. Non so come faccia, se sia bravo a sfuggire agli inviti al rientro a casa oppure se venga semplicemente tollerato. Ma lui è sempre lì, per parecchie ore della giornata. Sarà il mio angelo, la cosa più rassicurante di questi giorni maledetti.

Perché il pomeriggio, a quanto pare, i servizi essenziali diventano un po' meno essenziali e la gente comincia a diradarsi. Un po' come nella vita, quando si entra nell'età adulta. Sono pochi quelli che rimangono intorno. Nessuno lo fa apposta, ma spesso è così che accade.

Rimango sulla mia terrazza, col mio caffè, ma tutto ciò che vedo è la primavera che si sviluppa. E il vecchietto che passeggia quasi fino al tramonto. La prima è troppo lenta. Muta, me ne accorgo dal fogliame sempre più folto. Ma non riesco a percepirlo. È un dipinto che avrei apprezzato in altri tempi, adesso non vedo l'ora che arrivi il mattino successivo.

Mi rendo conto che adoro fare la sentinella, non l'eremita. Come invece credevo.

La sera poi, che è la mia compagna di giochi preferita, mi tradisce. Mi sfugge dalle mani, va a spargersi in una quiete che è asfittica, mediocre, priva di poesia e suggestività. Io, che odio il rumore dei motorini che sgasano sotto casa mia, adesso pagherei per sentirne uno. Pure un'automobile andrebbe bene, ma spesso non vengo accontentato. Bevo un bicchiere di vino, mi aiuta ad addormentarmi, ma non a sognare. Forse perché è già troppo onirico il paesaggio diurno.

E finalmente qualche divinità di un cielo ignoto e distante cambia ancora le regole del gioco: le terrazze non sono più obbligatorie, ma dovrebbero essere ancora considerate di moda. La gente, però, non sembra esserne convinta.

Scala ad Hanoi - Vietnam

La strada torna a rianimarsi, la primavera avanza e scopre le braccia. Intravedo belle figure femminili passeggiare. Solo le figure, la bellezza del volto nascosto è concessa sulla fiducia. I vecchietti non sono isolati, camminano a gruppi, parlano, ridono. Anche questo mi limito a ipotizzarlo, ma con una vaga certezza.

Due giovani, un ragazzo e una ragazza, siedono giù in fondo sotto al lampione. Sono perfettamente nel cono di luce, ma il fascio è una patina che li scherma, che li rende irraggiungibili. Con un gesto di tenerezza tornano a baciarsi. Provano prima a portare a contatto solo i tessuti che coprono le loro bocche, poi anche quelli cadono furtivamente.

Arriva una comitiva di amici, saranno ragazzini nella prima adolescenza. Sono tutti in bici, sembrano organizzati per pedalare fino alla Luna. Ma i piedi rimangono fermi. Per ore. È il loro pensiero a viaggiare. Le loro parole, che a me giungono solo negli squilli più arditi, veicolano tutta la carica accumulata nelle settimane.

I ragazzi più grandi tornano a scambiarsi la palla. In cerchio provano a lanciarsela con gesti quasi acrobatici, scaricano energie anche dove non servono. C'è pure un cane che si aggrega al gruppo. È il più felice di tutti, lui che non ci ha capito niente di quest'umanità così volubile. Ma in fondo non gliene frega nulla. Il pallone prende adesso tutta la sua attenzione.

Cane a Taiwan

E io rimango qui, sulla mia terrazza. Le bevande scendono in gola più fluidamente. E torno a maledire i motorini rumorosi che annodano il flusso dei miei pensieri.

Come dite? Dovrei giudicare, far sentire la mia voce? No, non lo chiedete a me. Io sono solo quello che osserva dalla terrazza.

Ah, dimenticavo: adesso il vecchietto non passeggia più sotto casa mia. Non ne ho più bisogno.



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