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Mura e Casematte




Questo è un articolo della serie #20Again: in questi testi non intendo consigliare a nessuno di mettersi in viaggio, né voglio convincere le persone a stare a casa. Molto banalmente e in generale, racconterò le mie esperienze e condividerò i miei pensieri, senza la presunzione di voler indirizzare quelli di altre persone. Sono fermamente convinto che ognuno possa decidere per sé stesso, attraverso i propri parametri di valutazione. Inoltre, durante i miei viaggi, ho rispettato sempre tutte le restrizioni e le regole locali, su cui ho costantemente provato a informarmi preventivamente.

Ho dovuto pensare a lungo prima di dare una descrizione a questa serie. Alla fine ne ho trovata una abbastanza ermetica, che spero di riuscire ad illustrare nel corso dei vari articoli.

#20Again: il rifiuto della stanchezza in una società che rifiuta la morte.

La prima parte è semplice da spiegare: abbiamo viaggiato come finti ventenni, portandoci dietro abbastanza peso e spostandoci di notte con poco comfort. Niente di impossibile, ma è comunque una modalità di viaggio che avevamo abbandonato da parecchi anni.

Il difficile arriva quando, in una serie di articoli che hanno il viaggio come sfondo, si tenta di buttare dentro una parola esecrata come la “morte”, dopo che a più riprese ho espresso l'idea del viaggio come punto di contatto con la vita, come canale in cui farla scorrere e percepirla fluire. Provo a sciogliere subito l'apparente contraddizione, ma sono consapevole che non sarà sufficiente, che dovrò lavorare sul concetto con la pazienza del cesellatore.

Non vedo la morte come il contrario della vita, ma semplicemente come una sua inevitabile conseguenza. Così come la stanchezza pone un limite allo sforzo fisico, giungendo anch'essa immancabilmente.

Berlino: East side Gallery
Berlino: East side Gallery

#20Again è un atto di ribellione verso la fatica, verso lo scorrere dell'età anagrafica. Questa presa di posizione nasce dall'osservazione della società intorno a me, una società che non accetta la morte dei suoi individui, che ne cancella la possibilità, che quando si trova a doverla affrontare rimane sconcertata, sorpresa, e tenta in tutti i modi di scongiurarla. Sembra essere una tendenza mondiale, oltre che contemporanea.

Ed è così che, da amante dell'animazione giapponese, mi sono sentito finalmente parte di un sistema in cui una vasta distribuzione di eroi pretende di salvare tutti, nessuno escluso. Credevo fosse fantasia, narrazione epica. E invece mi ci sono trovato dentro. Nasce così l'idea di viaggiare (dove possibile) e vedere coi miei occhi come questa battaglia si stia svolgendo nei vari luoghi da me toccati, percepire l'umore delle persone intorno a me, osservare come la quotidianità sia cambiata e dare a me stesso un resoconto su come quest'eroico tentativo stia procedendo.

Il Giappone è sempre una tentazione per me
Il Giappone è sempre una tentazione per me

Berlino, per via del suo muro, e il Lussemburgo, terra di castelli e casematte, mi sono apparse come destinazioni perfette. Paura, difese e divisioni sono gli elementi che caratterizzano questo periodo. Non credo ci fossero posti che potessero rappresentarli meglio.

Arrivo a Berlino e inizio la mia passeggiata. Casualmente alloggio in un posto che è abbastanza vicino al vecchio Checkpoint Charlie. Il muro all'inizio non lo vedo, ma posso immaginarlo. Anzi, immaginarli, perché si trattava di un doppio muro quasi ovunque. E non ci metto tanto a raggiungerne un pezzo che è rimasto vicino a Potsdamer Platz. Che cosa ho provato alla vista? Purtroppo nulla, perché un muro è solo un muro, specie se mezzo distrutto e aggirabile senza problemi. La libertà è una cosa che si apprezza di più quando manca, del resto. Ma poi, subito dopo, ho trovato raffigurata la storia di una famiglia che è riuscita a fuggire dall'altra parte. E lì il mio cervello si è messo in moto. Non ho avuto più come focus il muro, ma costantemente l'idea di conoscere le storie di chi ce l'aveva fatta a superarlo.

Muro di Berlino: sezione
Muro di Berlino: sezione

E lo so che sto parlando nelle vesti di viziato occidentale, che di barriere (almeno fisiche) ne ha dovute affrontare ben poche, fino ad oggi. E non voglio nemmeno tirare in ballo il tema dell'immigrazione, che è troppo complesso e non era di mio interesse in quell'esperienza. Ma non ne ho potuto fare a meno, mi sono messo nei panni di chi si trovava diviso dal muro. Che poteva essere dentro o fuori, a seconda dei punti di vista e non solo dell'effettiva collocazione. Purtroppo, però, quando c'è un muro io finisco sempre per sentirmi all'interno di esso. C'è chi lo percepisce come protezione, ma io lo vedo più spesso come limitazione.

In questi mesi ho visto sollevarsi mura su cui mai avrei pensato di dover sbattere. Non erano fatte di cemento e la maggior parte delle volte non sono state nemmeno fisiche. Ma ho palpato tantissima divisione. Gli stati si sono chiusi, anche quando amici. All'interno degli stati si sono chiuse le aree che li suddividevano, e così via. Discordia e poca coordinazione. Fino ad arrivare alle persone. Tanti individui il muro se lo sono eretto intorno a loro. E quello è il più difficile da buttar giù, in molti casi ancora resiste. E lo dico senza nessun biasimo. Qualcuno ha smesso il proprio vestito di cemento, altri si mantengono nascosti nella loro corazza. Permane la divisione, in ogni caso. Spesso un gruppo attacca l'altro e viceversa. Non giudico, come sempre, ma osservo.

Berlino: East side Gallery
Berlino: East side Gallery

Ché sui muri ci possiamo pure stendere i dipinti, a Berlino sono stati maestri in questo; ma quando il muro serve solo a delimitare, tendenzialmente preferirò guardarci attraverso o toglierlo via del tutto. Sono perfettamente in grado di frenare da solo i miei piedi, ma vorrei almeno liberare tutta l'estensione del mio raggio visivo. E, ripeto, non sto parlando di immigrazione, né di sbirciare dentro qualche spogliatoio femminile.

E poi capita che vado in Lussemburgo per vedere le Casemates du Bock. Farò qui una confessione: non essendo un grande appassionato di storia militare, prima di partire non conoscevo la parola casamatta. La scopro mentre sono sul bus diretto verso il Lussemburgo e mi metto a fare un po' di ricerca su ciò che avrei voluto visitare, Imparo così che queste famose “casemates” derivano dalla parola italiana “casamatta”.

“Nome curioso...” penso

E mi metto subito a ricercarne l'etimologia. Che è incerta, ma due delle ipotesi sono un po' più convincenti. La casamatta è un'opera di fortificazione, quindi la parola “casa” calza abbastanza comodamente. Il problema è la parola “matta”. Se si vuole prendere l'origine latina, ha il significato di “stuoia” e per estensione la casamatta potrebbe essere stata pensata come una primitiva fortificazione, formata con vimini e altro materiale da intreccio. Ma, a dire il vero, non è che mi persuada molto. Voglio dire, che tipo di fortificazione sarebbe?

Lussemburgo: Casemates du Bock
Lussemburgo: Casemates du Bock

Molto più interessante è invece l'interpretazione più ovvia. Quella che dice che la casa è matta, cioè finta. Sembra una casa, ma non lo è, perché in pratica è solo un elemento per nascondersi, difendersi e, specie più di recente, attaccare. Solo che non l'hanno chiamata “casafalsa”, “casafinta” o “casaselallero”, l'hanno proprio chiamata “matta”.

E lì mi è venuto da sorridere. Perché proprio “matta”?

Ma non è stato certo un sorriso normale. All'inizio mi sono figurato il primo tizio che l'ha costruita e ci si è chiuso dentro. E l'amico che l'ha preso per scemo e gli ha detto “Ma che è 'sta casa matta, co' 'sta mezza specie de finestrella? Da chi ti devi nascondere? Da tua suocera?”

Ma poi mi sono ricordato della mia casamatta. Casa matta, casamatta. Quella in cui sono stato confinato per quasi due mesi. E lì il sorriso ha avuto una deviazione amara, ma non è scomparso. Ho riso di me stesso, rinchiuso dentro casa a proteggermi da un nemico reale, ma poco noto ed invisibile. Ho fatto ciò che dovevo, ho fatto ciò che era giusto fare, ma non posso fare a meno che estraniarmi. Quello non ero io, eppure quell'anima ha occupato il mio corpo e ha placato la mia mente.

Che matte le casematte!

Lussemburgo: Casemates du Bock
Lussemburgo: Casemates du Bock

E poi finalmente arrivo in Lussemburgo. E tutto entusiasta e speranzoso mi metto a cercare le fantastiche Casemates du Bock, che è un sito patrimonio mondiale. Non so cosa mi aspetta, ma non vedo l'ora di visitarle. Ebbene, le trovo chiuse. Presumo a causa della pandemia. Una costruzione che proteggeva tenendo le persone al suo interno adesso le protegge lasciandole fuori.

Singolare, no?



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