A Chefchaouen pioveva.
Ma forse non me ne sono mai accorto.
La pavimentazione era bagnata e riflettente.
Era per caso una scenografia luminosa apparecchiata solo per me?
Eppure sembra che avessi un cappuccio. O forse quello non sono io.
Magari è solo un folletto, idoneo a popolare un dipinto fantastico.
E il cielo. E chi l'ha guardato!?
Relegato ai margini della scena.
Si è nascosto,
oscurato da tutto quell'azzurro.
Ha voluto forse diversificarsi,
non riuscendo a reggere il confronto.
Persino le fronde hanno voluto rubargli il palcoscenico.
E se la volta atmosferica decidesse di competere?
Non potrebbe.
Troppa è la varietà cromatica a contrastarla.
E quella linguistica, che aggiunge magia.
E quel pizzico di confusione.
Scopro che qui lo spagnolo, come seconda lingua, si affianca
o forse addirittura combatte col francese.
Col mio campo visivo intaglio i miei amici gatti, che costellano le strade,
come solitamente accade nei paesi a maggioranza islamica.
Gestiscono sapientemente la loro presenza nel tessuto urbano.
Tutta la città è una tela.
Anche gli oggetti più consunti sferrano zampate di colore.
E le ombre partecipano per dovere di fisica, ma quasi con vergogna.
Mi immergo, mi faccio pennellata.
Sono ancora lì, atomizzato nel blu.
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